La leggenda
Secondo la tradizione il miracolo di Maria SS. delle Milizie si fa risalire allo scontro, avvenuto nel marzo dell’anno 1091, tra i “Turchi”, guidati dall’Emiro Belcane, ed i “Cristiani”, cosiddetti terrazzani di Scicli, soccorsi, per l’occasione, dalle milizie del conte Ruggero, il Normanno.
Il racconto popolare come tramandato da generazione in generazione vuole che nella piana di Donnalucata, lido facile all’approdo per le galee saracene (le cosiddette chelandie), all’alba del 31 marzo dell’anno 1091 il borgo di pescatori fu pervaso da un grido pauroso ed allarmante che avvertiva la popolazione dello sbarco dei soldati Saraceni. Quel grido “i Saracini sunnu iunti alla marina” rappresentò per la popolazione locale costituita da contadini, artigiani, pescatori, commercianti, donne e bambini un avvertimento funesto che trasmetteva paura ed ansia.
A queste escursioni piratesche, che si tramutavano in razzie di beni e di uomini, soprattutto ragazze, la gente del borgo cercava di opporsi con i mezzi che aveva a disposizione e soprattutto con l’aiuto, quando arrivava in tempo, delle milizie dislocate nel castello di Scicli.
Gli infedeli, così venivano definiti i pirati saraceni, circa trecento, appena scesi dai numerosi vascelli si collocarono sul litorale di Donnalucata aspettando l’ordine di attacco da parte del feroce Emiro Belcane, ben noto alla popolazione siciliana per la sua crudeltà perpetrata nelle precedenti invasioni.
Dello sbarco e delle manovre preparatorie all’attacco se ne accorsero alcuni contadini che immediatamente avvertirono la popolazione e la guarnigione dislocata all’interno del castello di Scicli situato sul colle di San Matteo.
La lotta come al solito si dimostrava impari: da una parte le truppe saracene, molto armate ed avvezzi alla battaglia, dall’altra i contadini di Scicli, chiamati terrazzani, armati di zappe, forconi, randelli e bastoni, a cui si aggiungevano quei pochi soldati, presenti nel castello, che cercavano di organizzarsi per contrastare l’avanzata degli infedeli.
Da un lato il brutale sentimento della sopraffazione per razziare quanto più possibile e dall’altro l’ardore di una popolazione chiamata a difendere le proprie donne, i bambini ed i beni che costituivano la ricchezza del territorio.
Ardore e coraggio trovavano supporto ed appiglio nella fede verso Maria SS. Della Pietà, venerata a Scicli, a cui la popolazione era particolarmente devota.
La supplica delle milizie locali rivolte ai Saraceni per non infierire sull’inerme popolazione e la preghiera rivolta alla Madonna per averne aiuto non riuscirono a fermare lo scontro.
Quando le scaramucce ed i pour parler mirate a trovare un compromesso tra le richieste dei saraceni, mirate a richiedere nuovi esosi tributi alla popolazione, e gli appelli a ritirarsi nelle proprie galee per l’illegittimità delle loro pretese, risultarono insufficienti, il conflitto fu inevitabile.
Così al grido dei cristiani “vuoi guerra e guerra sia nni lu santu nomu di Maria”, verso mezzogiorno, prese corpo il conflitto armato tra gli infedeli ed i Normanni guidati dal conte Ruggero d’Altavilla, detto il Normanno, che sopraggiunse prontamente in aiuto delle milizie sciclitane.
A questo punto il miracolo. La Vergine Maria, caldamente invocata dal popolo, si presenta sul campo di battaglia, avvolta da una nuvola splendente come il sole, in tono altezzoso con una corona in testa ed una spada lucente, rivolta in alto, impugnata sopra la mano destra.
Scendendo sul campo di battaglia la Madonna rivoltasi alla popolazione sciclitana così si esprime: “Eccomi scesa; sono presente, città mia diletta; ti proteggerò con la mia destra”.
I Saraceni non trovano più le fila del conflitto ed impauriti si danno alla fuga. Allo sbandamento delle milizie saracene il popolo si inginocchia in tono di ringraziamento e rivolge alla Madonna un inno di preghiera:
“Bella Amazzone invitta, Alta eroina,
Gloria del Paradiso, Onore del mondo,
Sopra bianco destrier, Scicli t’inchina.
T’inchina Scicli perché in sua difesa,
Di nemico infedele a scorno ed onta,
Con spada in man dal ciel ti vide scesa.
Or comprende il mister mia fe’ sincera;
Perché armata scendesti a noi qui in terra,
E mostrar ti volesti da guerriera.
Grazia ti rende Scicli alta e distinta;
Che rompesti al suo piè l’empia catena,
Che in dura servitù teneala avvinta.
Grazie ti rende ancor il militante;
Che il nemico del ciel da Te apprese
A combattere, e ad essere trionfante.
Se in cuna trionfasti un dì bambina,
E sei gloriosa in ciel, qual meraviglia
Che ai sozzi Mori qui fosti ruina?
Dall’ugne lor salvasti e Scicli e il Regno,
E non paga di tanto ancor volesti
L’orma gloriosa tua lasciarci in pegno.
Dunque al Tempio ove serbasi quest’orma,
Andiam col piè, col cor, ch’Essa la strada
Del ciel ci addita e dell’ascesa informa.
E Tu o Maria, nostra allegrezza in terra,
Dona a Scicli la pace e la concordia;
Difendila da fame, peste e guerra,
Abbi sempre di noi misericordia.”
Il contesto storico, economico, culturale e sociale
La cornice storica dell’evento miracoloso si inquadra perfettamente all’interno del periodo della dominazione araba in Sicilia iniziata nell’827 dopo Cristo con la conquista di Mazara del Vallo e terminata con la caduta della città di Noto nel 1091. La città di Scicli in particolare cadde sotto la dominazione araba nell’865 dopo Cristo.
Il contesto economico, culturale e sociale del periodo di dominazione musulmana della Sicilia orientale, compresa la città di Scicli, fu caratterizzato da un forte prelievo fiscale, da tolleranza religiosa, da scorrerie piratesche e dalla riduzione in schiavitù dei non arabi siciliani.
La suddivisione in quattro classi sociali (schiavi, vassalli, tributari, indipendenti) fu uno dei pilastri dell’organizzazione socio economico della popolazione ma anche lo strumento fiscale e di compromesso sociale che i dominatori realizzarono per assicurare l’integrazione religiosa e lo sviluppo economico del territorio. Gli schiavi ed i poveri venivano trattati in modo umanitario con la concessione di parte delle terre conquistate. Ai vassalli, tributari ed indipendenti veniva chiesto il pagamento di una tassa fondiaria (il kharag) oltre alla tassa speciale (la cosi detta gizyaah) che gli consentiva libertà di esercizio sociale e religioso e, su richiesta, la concessione in proprietà delle terre incolte che riuscivano a trasformare in produttive.
Alcune piantagioni come il carrubbo, l’ulivo, la canna da zucchero ed il cotone furono introdotti dagli arabi. L’agricoltura si sviluppò notevolmente tanto che Edrisi, geografo arabo, parlando del territorio di Scicli classificava la sua pianura come la “più ubertosa”.
Anche dal punto di vista amministrativo la dominazione araba portò alla creazione di una struttura isolana basata su tre distretti: Val di Mazara che comprendeva la parte centro-occidentale dell’isola, Val Demone che comprendeva la parte nord-orientale e Val di Noto che comprendeva la parte meridionale.
Certamente la tradizione dell’evento miracoloso più verosimilmente si inquadra in una delle tante scorrerie operate, sul territorio di Scicli, da facinorose bande piratesche africane.
Lo scontro armato, miracolosamente vinto dalla popolazione sciclitana, divenne così un mito anche perché nel racconto tramandato da generazione in generazione il contesto storico si avvicinò alla cacciata degli Arabi dalla Sicilia e, sul luogo dove venne formalizzata la leggenda, esisteva una torre di guardia costruita dai bizantini intorno al 1300 ed adattata a campanile nella seconda metà del 1400. Accanto alla Torre fu costruito successivamente l’eremo denominato delle Milizie.
Nel suo interno sopra una roccia, che la tradizione vuole contrassegnata dall’impronta del piede del cavallo su cui era montata la Madonna, è stato costruito nel Settecento un baldacchino in pietra composto da sei colonne corinzie.
Il riconoscimento della Chiesa
Del culto di Maria SS. delle Milizie si inizia a parlarne intorno alla fine del Quattrocento e solo nella seconda metà del XV secolo viene consacrato un altare alla Beata Maria Vergine detta dei Milici proprio all’interno dell’eremo.
Ma il riconoscimento ufficiale da parte della Chiesa avvenne solamente nell’anno 1737 ad opera di Papa Clemente XII e stabilito, con decreto della Sacra Congregazione dei Riti, nel Sabato prima della settimana della Domenica di Passione la recita della Santa Messa in memoria della SS.ma Vergine denominata della Milizia o delle Milizie, volgarmente dei Milici.
Negli ultimi anni la festa viene celebrata ogni anno a fine maggio.
La rappresentazione
Inizialmente la commemorazione dell’evento era limitato al solo rito religioso dentro la chiesa seguito dal pellegrinaggio al santuario dei Milici. Solo nel Settecento venne costruita la statua equestre ed iniziata la Rappresentazione della battaglia tra Saraceni e Normanni. La Rappresentazione una vera “moresca” veniva allestita inizialmente sulla spiaggia di Donnalucata tra pescatori vestiti in abito arabo e gli sciclitani vestiti alla cacciatore e con vecchie uniformi. Il diverbio tra l’emiro Belcane ed il Conte Ruggero, recitato in dialetto sciclitano, precedeva lo scontro finale a cui seguiva l’apparizione della statua equestre della Madonna. Nell’Ottocento la Rappresentazione dal litorale di Donnalucata si avvicinò a Scicli prima nel piano dell’Oliveto e successivamente in piazza Italia. Nel 1933 si iniziò ad utilizzare un “copione” in lingua italiana scritto dal prof. Giuseppe Pacetto Vanasia.
Iconografia artistico – letteraria
Il modello iconografico, venuto fuori dall’arte pittorica, letteraria e poetica dell’evento miracoloso, così come tramandato dalla tradizione popolare e dalla sua cultura, rappresenta l’espressione più originale e significativa del fatto d’armi. Dalla sua lettura artistica e popolare l’iconografia ha rappresentato e continua a farlo l’immagine mirabile della sopraffazione del bene sul male e lo strumento educativo per abituare alla concordia ed alla pace le future generazioni.
I dipinti, alcuni realizzati intorno alla seconda metà dei Seicento ed altri compiuti nei secoli successivi, adornano gli altari di tutte le Chiese di Scicli e qualcuno anche di Modica. Tra le opere più significative per senso prospettico e decorativo ma anche per l’originalità interpretativa del fatto d’armi è l’opera pittorica del romano Francesco Pascucci, realizzato a Roma nel 1779, che adornò inizialmente l’altare del Convento dei Milici e che nel 1920 fu trasferita nella Chiesa Madre di Scicli ove tutt’ora si trova esposta.
Dal punto di vista letterario interessante è la rievocazione della festa e dell’immagine della Madonna a Cavallo che viene rievocata e descritta nel romanzo “Il Garofano Rosso”da Elio Vittorini “Una volta i tuoni e il diluvio erano della Madonna a cavallo, nel paese attraversato dal fiume tutto sassi. La festa veniva in ottobre, ed erano giorni e giorni di tuono per tutto il tempo che durava. La Madonna era anch’essa bionda, con la corona di guerriera sulla testa e sotto gli zoccoli del cavallo pestava i saraceni, e io la pregavo di farmi sposare una donna come lei quando sarei stato grande”.
Non meno importanti sono i versi in latino ed in italiano che diversi poeti come lo sciclitano Vincenzo Celestri, il gesuita Francesco Carrera da Scicli e il gesuita il P. Girolamo Ragusa dedicarono nel Seicento e nel Settecento alla Madonna a Cavallo. Non ultimo è la poesia scritta da Lionello Fiume durante il suo ricovero all’ospedale Busacca e che così si esprime :
“O Madonna a cavallo, la tua folgorante
Spada che l’ira saracena sgomina,
Vorrà – deh, pietosa! – fugare il mio male?”.