La Cavalcata di San Giuseppe, per i suoi contenuti culturali, per il suo radicamento nella tradizione popolare della città, per la sua tipicità ed i contenuti folcloristici rappresenta, unitamente alle feste di Pasqua e alla Madonna delle Milizie, la prima delle feste che vanno sotto la denominazione di “Festività di Primavera”.
La manifestazione, originale nel suo svolgimento, nella sua valenza folkloristica e nei suoi contenuti culturali, tradizionali e religiosi, ha una forte valenza identitaria sedimentata nel tempo dalla forte partecipazione popolare che ha trovato nel contesto del territorio, nella sua storia, nella sua religiosità, nelle sue tradizioni, nel suo modo di vita e nelle sue passioni gli elementi fondanti di un contesto culturale che continua ad essere percepito dalla città come un sistema di valori che, in continuità con il passato, sopravvive e si tramanda nella memoria di ciascuno come elemento di radicamento soggettivo che trova nell’incrocio dello spazio e del tempo la sua espressione simbolica.
A precedere la cavalcata è il gruppo dei figuranti che interpretano il momento biblico della fuga in Egitto della Sacra Famiglia, dopo la visita dei Magi, per evitare la morte di Gesù bambino dopo l’editto di Erode (Mt. 2, 13-15).
Il lungo corteo è formato da tanti gruppi di cavalieri vestiti con gli antichi costumi legati alla vita e alla nobiltà contadina (pantaloni e gilet di velluto nero, camicia bianca ricamata, fascia multicolore intessuta ai fianchi, fazzoletto rosso al collo, burritta, stivali in pelle comune e pipa di canna) che, attorno al cavallo bardato con gualdrappe realizzate su tela interamente lavorata con fiori di balucu (violacciocca) e orlata, fino a ricoprire interamente gli arti del cavallo, con foglie di giglio selvatico (spatulidda), creano manti variopinti a soggetto religioso o semplicemente di fantasia. I fiori di balucu nei diversi colori (bianco, lilla, viola, rosso, giallo, albicocca, ecc.) nella tradizione locale vengono dai molti figurati come bastone di S. Giuseppe e da altri come il momento di avvio della primavera.
Il falò (pagghiaru), che rappresenta il fuoco che i pastori tenevano acceso per riscaldarsi e per illuminare il percorso della Sacra Famiglia in fuga, viene preparato con cura nei crocicchi dei quartieri ed acceso al passaggio della Cavalcata. Ma il fuoco ormai è assimilato nell’usanza della città come momento di condivisione dello stare insieme per vivere e consumare attorno al rito del fuoco una cena frugale fatta di carciofi arrosto, salsiccia, bistecca alla brace il tutto annaffiato da un buon bicchiere di vino. Momento magico di vita di quartiere ma anche un modo per rubare al buio la luce della primavera che ormai è alle porte. La festa attorno ai falò si protrae fino a notte inoltrata.
Tutti questi elementi contribuiscono a determinare il significato semantico di quello che può definirsi come radicamento della festa nella città e verso cui attingere, magari con forme nuove, ma sempre nei canoni e nelle espressioni tipicamente canonizzate nel tempo, per il futuro. Elementi tutti che hanno spinto l’Assessorato Regionale ad iscrivere la festa nel Registro delle Eredità Immateriali (REI) della Sicilia creato nel 2003 in convenzione con l’UNESCO per salvaguardare il Patrimonio Immateriale dell’isola.